Centinaia di nuovi occhi ci osservano dopo l’ultimo sbarco a Cagliari

Sono arrivati ieri, su una nave battente bandiera spagnola, sono 1258, il più numeroso sbarco avvenuto nelle coste sarde nel 2016.

Percorrendo la banchina del molo Ichnusa, come ogni volta, provavo sensazioni contrastanti, riflettendo su come gli sbarchi siano diventati per me sempre meno sconvolgenti.

Il primo sbarco che ho visto è stato a Lampedusa nel 2005, quando ancora i flussi erano moderati e non si pensava all’emergenza immigrazione che viviamo oggi. Più precisamente non ho visto uno sbarco a Lampedusa, ma un imbarco: la stessa nave su cui viaggiavo da Porto Empedocle sarebbe stata usata per trasportare i migranti verso i centri di accoglienza siciliani. Arrivando al porto di Lampedusa c’erano centinaia di persone inginocchiate con una busta di plastica che conteneva i pochi oggetti personali. Non ho dormito due notti pensando ai loro sguardi e alla profondità dei loro occhi.

Stamattina ho rivisto quegli sguardi, li rivedo ogni volta che mi capita di assistere ad uno sbarco, li fotografo, li vedo dentro l’obiettivo e loro mi guardano. E mi sento in colpa, per non poter fare nulla, per essere presente solo per informare, per arrivare fare foto e andare via con un vuoto dentro.

I migranti arrivati ieri sono ancora sulla nave, le procedure di identificazione sono lunghe e probabilmente molti di loro passeranno un’altra notte a bordo, sognando e sperando di essere finalmente liberi.

Alcuni magari riescono ad ottenere i documenti, a lavorare spesso in nero, e a mantenersi in maniera più o meno degna, poi succede che salgono su un autobus e vengono chiamati scimmie davanti al silenzio generale.

Mi capita sempre più spesso di riflettere sul ruolo dei giornalisti in questa situazione di emergenza, dove i migranti non hanno una vita che possa essere definita degna, e dove parte della popolazione si ostina a non aprire la mente, a vederli come una minaccia, come dei ladri che vengono a saccheggiare, senza pensare che chiunque di noi, probabilmente, se vivesse in situazioni di pericolo non ci penserebbe due volte a salire su quei barconi fatiscenti.

Quale deve essere il ruolo di noi giornalisti in questa situazione? Mi verrebbe da rispondere che il nostro compito è informare, ma credo che la cosa più importante che dobbiamo fare è rimanere umani, farci sconvolgere da quello che succede, perché questa situazione non può e non deve diventare “normale” per nessuno.

Valentina Bifulco