Riccardo 3 - L'avversario
Riccardo 3 - L'avversario
Ha assassinato la moglie.
Ha assassinato il fratello.
I figli del fratello. Gli amici. I nemici.
E non è Riccardo III di Gloucester.
di: Francesco Niccolini
liberamente ispirato al “Riccardo III” di William Shakespeare e ai crimini di Jean-Claude Romand
per: Enzo Vetrano e Stefano Randisi
regia: Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con: Enzo Vetrano, Stefano Randisi e Giovanni Moschella
assistenti alla regia: Lorenzo Galletti, Roberto Aldorasi
scene e costumi: Mela Dell’Erba
luci: Max Mugnai
produzione Arca Azzurra Produzioni e Emilia Romagna Teatro Fondazione
FRANCESCO Qui, Enzo, è la prima e unica volta che puoi uscire di scena in tutto lo spettacolo.
STEFANO Era l'ora!
ENZO Ma io non esco... perché dovrei? Vado allo specchio, mi guardo e lì, nello specchio, mi vedo deforme... o più bello.
Enzo è Riccardo. Stefano è Lady Anna, ma è anche un sicario, Giorgio di Clarence, Buckingham, Edoardo e Richmond. Giovanni è tutti gli altri personaggi: un altro sicario, Hastings, Elisabetta, il principino, Margherita, il sindaco di Londra, Stanley. Pochi attori e molti forse. In questa messa in scena i forse sono più delle certezze: perché in questo spazio algido tutto è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi, le vecchie foto, le incisioni sbiadite e le apparizioni.
Quando lo spettacolo inizia, Enzo si sveglia da un lungo sonno iniziato prima dell'ingresso del pubblico. È seduto su quello che dovrebbe essere un trono. Ma intorno tutto è bianco e verde acido, ricorda molto da vicino la stanza di un ospedale: un letto, una sedia a rotelle, un grande specchio. Forse addirittura siamo all'interno di un ospedale psichiatrico. Peggio: un manicomio criminale. O forse il manicomio è dentro la testa di Enzo. Due uomini parlano sottovoce. Forse sono dei sicari. Forse. O forse sono due incubi venuti per tormentare Riccardo. O Enzo. Il dramma ha inizio: la corona passa da una testa a un'altra, la ghigliottina si abbatte feroce, le campane suonano a festa o a morto, mentre un corvo si aggira, come se quel luogo gli appartenesse. Un luogo pieno di spettri e fantasmi. Mentre rivive la vicenda di Riccardo di Gloucester – il malvagio più malvagio ma al tempo stesso più terribilmente simpatico mai creato dal genio umano – e dei suoi omicidi seriali, di tanto in tanto, la vita ospedaliera si mescola alla finzione. Da fuori si sentono tuoni e fulmini, ci sono inattesi silenzi, una cartella clinica da leggere, aggiornare o firmare. E soprattutto, c'è un'iniezione che incombe, come una spada di Damocle. O piuttosto di Richmond, in questo caso. Tra un omicidio, una risata, un funerale e una pausa, la commedia va avanti fino alla sua conclusione naturale. O quasi. Perché al momento del gran finale – giusto un istante prima della morte («Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!») – Enzo risorge dai suoi peccati, e con il suo ultimo monologo visionario si congeda, accoglie la liberazione che gli giunge non dalla spada di Richmond ma dall'iniezione che gli viene somministrata: sedato, ridotto alla passività, rinchiuso in una camicia di forza, che assume le fattezze di un costume di scena da tiranno assassino. Forse morto. Parafrasando Macbeth e il suo «Tomorrow and Tomorrow and Tomorrow», a noi resta soltanto un «Forse e Forse e ancora Forse». Parafrasando Amleto, tutto il mondo non è solo una prigione, ma un manicomio. E la via d'uscita, una sola.
GIOVANNI Non è uno spettacolo consolatorio.
ENZO No.
STEFANO E chi ha mai detto che dovrebbe esserlo?