Se la vita diventa un labrinto senza uscita

Data: 
Sabato, 28 Dicembre, 2013

Al Massimo di Cagliari “Pirandello-Beckett” di Guido De Monticelli, nuova produzione del Teatro Stabile della Sardegna

di Roberta Sanna

CAGLIARI. A volte il risultato offre più della somma effettiva. Quando capita a teatro l’operazione produce complessità, come per il “Pirandello/Beckett”, nuova produzione firmata da Guido De Monticelli del Teatro Stabile di Sardegna, andata in scena al Massimo. Operazione intelligente e nitida, non contamina nei fatti “Atto senza parole” e “All’uscita”, se non nelle premesse e poi nelle riflessioni mosse negli spettatori.

Ad aprire è il celebre atto beckettiano, affidato al bravo mimo e attore Edoardo Demontis. Unico personaggio, l’uomo. Omino anzi, in rappresentanza della specie. Una volta in scena deve fare i conti con il mondo, la vita, sotto i comandi ritmati dal fischietto. Non c’è modo di uscire, lo impara presto a colpi di capitomboli. Impara che il sole picchia e l’albero dà appena una sagoma d’ombra. Impara a essere preciso e ripetitivo e che fatica e impegno possono diventare creativi e sperimentali a patto di fare i conti con i limiti del corpo e le mete impossibili. Tre cubi e una brocca d’acqua appesa sempre più in alto bastano a Beckett a dare una lezione di esistenza. Chi o cosa solleva ogni volta la meta oltre la nostra portata? E quella corda che suggeriva il successo servirà invece per impiccarsi? Nemmeno quella è l’uscita per l’omino. La brocca arriverà a portata di mano quando sarà troppo frustrato per interessarsene, e la vita andrà consumata sino all’ultima goccia, sino alla fine dell’atto.

Resta allora l’albero e con questo il clima beckettiano: lente che si aggiunge allo sguardo dello spettatore per l’inizio di “All’uscita”, titolo che cita “Aspettando Godot”. Tra i personaggi pirandelliani – l’Apparenza dell’uomo grasso e quella del Filosofo – si apre, attraverso la parola, l’atto di pensiero e ragione. La stessa ricerca della pièce beckettiana è affidata quindi all’atto non basato sull’azione fisica. Ma su quella cerebrale, incessante, filosofica, di trovare un’uscita ai limiti del pensiero. I due si arrampicano così su costruzioni di parole con altrettanta pervicacia e creatività del nostro omino. Con passione per la sfida le due apparenze si attardano sulla soglia dopo la morte, a disquisire di esistenza e cercare ragioni. La labile forma dell’uomo che arranca, disegnata dalle parole pirandelliane, è proprio quella dell’omino di poco fa. Insomma non solo del corpo bisogna liberarsi, suggerisce Pirandello attraverso i suoi personaggi, ma della vanità superstite per staccarsi del tutto dalla vita. E perché non farlo prima della morte, affinché la coscienza goda di quei momenti di bellezza che l’intelligenza del corpo riconosce e che invece, ignorati, lasceranno solo rammarico?

Ottime le prove di Luigi Tontoranelli e Paolo Meloni, come quella di Isella Orchis, apparenza della Donna Uccisa, simbolo dell’insoddisfazione autodistruttiva. Ad accompagnare all’uscita dallo spettacolo sarà allora l’immagine delle figure intagliate dalla maestra burattinaia Donatella Pau, concreta e legnosa evidenza dell’umanità che percorre la terra.

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