Paolo Rossi , come in un western sul Carso

Data: 
Giovedì, 28 Novembre, 2013

“L’amore è un cane blu” in scena al Teatro Massimo di Cagliari: un omaggio ai maestri Dario Fo, Gaber e Jannacci

di Walter Porcedda

La trama è così sottile che quasi quasi sembra poter scappare via da un momento all’altro, ma alla fine cosa importa, se sul palco c’è quell’entertainer di razza di Paolo Rossi che a uno show apparentemente sbrindellato e senza capo nè coda regala un’anima poetica, tenera e bizzarra, anarchica e selvaggia, ma autentica e genuina fino al midollo? Anche se a questo show ha affibbiato un titolo un po’ folle e senza senso(ma solo in apparenza) de “L’amore è un cane blu”, andato in scena ieri e martedì al teatro Massimo per la Stagione del Teatro Sardegna. Sì, perchè quel cane blu, ha confessato Rossi, l’ha visto in sogno e quindi c’era. Era reale. O meglio, gratta gratta, spunta fuori da una delle leggende che hanno a vedere con il freddo e quelle terre da brividi e racconti fantastici come sono gli altipiani del Carso, gli stessi da dove proviene Rossi, con natali a Montefalcone, cioè in una terra di confine dove si mescolano i dialetti e le lingue, si intrecciano i suoni e le storie degli uomini in un vertiginoso Helzapoppin. Lo stesso generato sul palcoscenico da Rossi, affabulatore di istinto che il raccontar storie lo possiede nel proprio Dna oppure l’ha acquisito sin da piccolo quando tra quelle aspre rocce di bianco calcare e il verde intenso dei prati e dei cespugli giocava da piccolo a indiani e cow boys. Ed ora, saldamente in groppa al suo talento, affinato in anni di carriera, cresciuto alla lezione dei maestri Fo e Jannacci e soprattutto a quel teatro canzone di Gaber e Luporini dal quale attinge ispirazione, come un pittore ispirato e visionario, alla Pollock, getta sulla sua tela grumi di colore, sgocciolando porzioni di rabbia e piccoli veleni contro il mondo. Sì c’è anche la politica (ma come non potrebbe esserci in uno show di Rossi?), come sempre dissacrante e al vetriolo, ma qui è solo un ingrediente, importante ma non l’unico di una storia obliqua costruita usando due classici miti. Quello di Alcesti e l’altro di Orfeo. Una storia d’amore insomma, magari non proprio lineare ma di cuori, che procede a zig zag, tra ricordi autobiografici e sentimentali. Insomma proprio “un’autobiografia non autorizzata” dello stesso attore-autore che ha voluto squadernare una sua idea di soggetto cinematografico da provare in diretta davanti alla platea accompagnato dall’orchestra di liscio balcanico (guidata da Emanuele dell’Aquila con Alex Orciari, Stefan Bembi, Mariaberta Blaskovic, David Morgan e Denis Beganoivic) che rende nuove canzoni già ascoltate, insomma un furto con destrezza di melodie e ritornelli che sembrano dare al tutto un andazzo un po’pattaccaro come fosse un western di serie B. Sì proprio un western dell’Est che cita Sergio Leone riprendendo le note di Morricone de “La conquista del West”. E poi tanto di cappellacci Stentson color bianco calati sul capo, giubbe da sudisti e penne sul capo dei musicisti come mescaleros un po’ abbacchiati. E’ un circo in eterna prova che continua a girare senza interruzioni. Un pò come fosse alla ricerca del tempo perduto. Nel suo delirante racconto tra musical, teatro e impossibile film a venire, Rossi trita luoghi comuni, evidenza miserie dell’Italia suscitando il riso. Un riso amaro, ovviamente. Amarissimo. Come quando alla ricerca della sua compagna, portata nell’Aldilà dalla Morte (in realtà da lui stesso consegnata alla dama nera in cambio della propria vita, il giorno del suo banchetto nuziale presso un allevatore di maiali biologici nel Carso) scendendo agli Inferi, proprio come Orfeo alla ricerca dell’amata Euridice, si imbatte per un attimo davanti all’anima di Enrico Berlinguer. Questa lo interroga per sapere che fine avesse fatto il suo partito, se esistesse ancora. E alla domanda su cosa fosse accaduto di quella che il politico sassarese pose con forza a suoi tempi, cioè la questione morale, Rossi non fa una piega e risponde secco. «Ah quella.... risolta. Tolta di mezzo, zac! Non c’è più, la morale non c’è più». Tutto dentro il diario di bordo di un nomade viaggiatore che facendo lo slalom tra rapporti di coppia e matrimoni, la società d’oggi e gli anni Settanta,la politica e i diritti civili, aggiorna continuamente le pagine all’attualità quotidiana, sbeffeggiando come sempre il potere e mettendone a nudo tutte le miserie e le meschine infelicità.

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