L'amore è un cane blu (invece Paolo Rossi è sempre Paolo Rossi)

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Giovedì, 28 Novembre, 2013

L'attore ieri e martedì al teatro Massimo di Cagliari

 

Questa volta il pretesto è un western: è con l'idea di produrre un film su cowboy improbabili, vacche (molte), pistole e cuori che Paolo Rossi si è presentato, ieri e ieri l'altro, sul palco del teatro Massimo di Cagliari.
Chiaramente a parte un'intro alla Sergio Leone il film è tutto da costruire, a cominciare dal titolo che il cabarettista cerca pensoso in un elenco che varia dal prolisso-wertmulleriano al telegrafico-sarcastico.
Il titolo dello spettacolo messo in scena con i Virtuosi del Carso - che sono virtuosi davvero, e pieni di personalità - invece c'è ed è definitivo: “L'amore è un cane blu”. Che come nome vale quanto un altro, dato che lo show è semplicemente e opportunamente uno spettacolo di Paolo Rossi. Cioè una soffitta sconfinata dove l'attore pesca apparentemente alla rinfusa: incontri imbarazzanti con l'anima di Berlinguer che chiede notizie del partito e tutto ciò che i Vangeli non dicono sul caratteraccio di Gesù da bambino, giochi di parole sul Carso (la zuppa del Carso, la battuta del Carso...) e vecchie barzellette che la sua classe fa assurgere a microscopici classici della farsa all'italiana (quella paleozoica del marito infedele col borotalco sulle mani, raccontata da Rossi assomiglia un vecchio compagno di scuola imbranato che si incontra per strada e quasi non lo si riconosce, per quanto è diventato bello e fascinoso).
Uno show studiato al dettaglio. assicura il mattatore in apertura, tutto programmato al millimetro, dai colpi di tosse agli errori in scena. E la sensazione è proprio quella, soprattutto quando un'incertezza su una battuta dà il destro per rendere omaggio a un fratello amato, di cui non solo Rossi sentirà sempre nostalgia: «Eh, il vuoto di memoria... come diceva Jannacci, il vuoto di memoria meglio averlo sul palco che in sala operatoria».
Non è certo per un'amnesia che lo spettacolo - per quanto lungo, forse fin troppo generoso - scorre via praticamente senza che venga nominato Berlusconi. Non è indispensabile, per fare satira basta ricordare che «a Ovidio nulla pareva più ridicolo di un vecchio che corre appresso a una ragazza». Pausa, e mano che passa nervosamente sul volto come a scacciare un incubo ricorrente. E in quel silenzio c'è tutto il mestiere di un signore che da decenni diverte con il suo teatro incivile («C'è quello civile, il faccio l'incivile»). Non ci sarebbe quasi (ma è un quasi grande quanto un applauso scrosciante) bisogno di proseguire: «E non sapeva, Ovidio, che secoli e secoli dopo avremmo visto un vecchio rincorso dalle ragazzine. E dalla magistratura. Ma in questo paese le ragazzine corrono più veloci della magistratura».
Il resto è satira teologica sui padri putativi, l'economia spiegata alle mucche, duelli musicali e studi sulla vita sentimentale dei gabbiani. In effetti tutto questo non è un western e nemmeno un cane blu: è il cabaret di Rossi, fortunatamente.
Celestino Tabasso

 

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