“Hotel paradiso” teatro del silenzio

Data: 
Lunedì, 11 Novembre, 2013

“Hotel paradiso” teatro del silenzio

A Cagliari i Familie Flöz aprono la stagione teatrale con un lavoro interessante

Scriveva Antonin Artaud nel “Teatro e il suo doppio”: «Come è possibile che a teatro, almeno quale lo conosciamo in Europa, meglio in Occidente, tutto ciò che è specificamente teatrale, ossia tutto ciò che non è discorso e parola, o – se si preferisce – tutto ciò che non è contenuto nel dialogo debba rimanere in secondo piano»? Queste parole, per certi versi profetiche, ritornano in mente davanti allo spettacolo dei Familie Flöz “Hotel Paradiso” che ha aperto la stagione teatrale dello Stabile cagliaritano al Teatro Massimo. Uno spettacolo che ancora una volta, quello dei Familie Flöz è infatti un ritorno in città dopo un anno di assenza, mette in evidenza uno degli esiti più affascinanti della ricerca teatrale contemporanea. Un teatro senza parola, ma questa di per sé non sarebbe una novità, un teatro che mette insieme tanti linguaggi diversi fondendoli, il mimo, la clownerie, l’uso, sapiente, della maschera, anche questo a ben pensarci niente di nuovo o di troppo originale. Eppure l’effetto finale, il teatro dei Familie Flöz, si fonda su uno stile che nel suo genere, nella sua forma finale è veramente unico e originale.

Fusione di uno strano mix di corpo e movimento che passa attraverso l’uso di maschere fuori misura, smisurate rispetto alla corporeità dell’attore, eppure capaci di infondere ai personaggi, tutti chiusi dentro un silenzio che sembra quasi metafora di una condizione umana, di un’impossibilità del dialogo, l’eccitante riverbero di una poesia che avvolge di malinconia ogni azione umana. Un remoto albergo di montagna abitato da una strana umanità, da personaggi che sono sempre sospesi sull’abisso del grottesco, eccessivi, eppure insieme eleganti nei loro movimenti, come danzatori senza tempo, di un mondo che pur assomigliando al nostro è lontano, quasi remoto. Tutto quello che accade è fatto solo di gesti, gesti che aprono una ferita nello spettatore, generano una sorta di affascinante nostalgia della parola. Ecco la profezia artaudiana, nel gesto, nel corpo dell’attore è compressa anche la parola, anche se nella forma quasi metafisica della sua assenza. Teatro raffinatissimo, quasi algido nella sua forma perfetta, millimetrico, capace di esplorare i caratteri umani quanto e più di mille discorsi. Ottimi i quattro interpreti in scena Sebastian Kautz, Anna Kistel, Daniel Matheus, Nicolas Witte. Si replica domani alle 19.

Enrico Pau
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