MARGHERITA RUBINO
L’UNICO elemento negativo del dittico “Pirandello/Beckett”, in scena al Duse fino a domenica, non è dato da qualche carenza artistica, o registica, o interpretativa. Banalmente, lo spettacolo dura, o per lo meno è durato la sera della prima, cinquantanove minuti esatti e viene “venduto” agli spettatori per la durata di un’ora e venti minuti, così sta scritto nell’informativa di sala. Non è cosa grave, certo, soprattutto quando di teatro, e non di cinema o di altro bene si tratta.
La breve performance dunque, progettata scenicamente a quat tro mani e curata da Guido De Monticelli, mette in fila “Atto senza parole” di Samuel Beckett e “Al l’uscita” di Luigi Pirandello, in or dine inverso rispetto al titolo, che cita cronologicamente “Pirandello/Beckett”. L’insieme funziona egregiamente, quindi è inutile di- scutere sul senso o la legittimità dell’accostamento, ideato per mettere insieme un paio di pezzi “diversamente” teatrali, in particolare il primo. “Atto senza parole” è una brevissima commedia mimica, in cui l’uomo in scena non proferisce parola. Non che manchino gag mute nel teatro di Beckett, ove non c’è plot nè sviluppo di azione , solo l’intuizione di una condizione umana. In questa breve pantomima, concepita poco do- po “Aspettando Godot” e anche dopo “Finale di partita”, assieme a cui andò la prima volta in scena, vengono rappresentate le mete illusorie cui tendiamo per tanta parte della vita, che potrebbero realizzarsi proprio quando non ce ne curiamo più. Un uomo solo si trova sotto una luce diffusa. Viene chiamato or qua or là da una serie di fischi al cui suono gli vengono calati davanti, nell’ordine, un paio di forbici, una brocca di acqua, un cubo grande, un cubo piccolo. L’uomo non riesce ad afferrare la brocca, non riesce a sovrapporre i due cubi per salirvi e arrivarci, cade di continuo e non riesce neppure a usare la grossa corda per fare un nodo ed impiccarsi. Ogni tentativo fallisce, ogni oggetto si allontana, finchè l’uomo cade prostrato e neppure guarda più la brocca che nel frattempo gli arriva a portata di sorso. Libero da desideri o pulsioni, alla fine resta immobile, simbolo evidente della rinuncia a capire, e ad agire, a fine vita, dopo i tanti fischi che proponevano obiettivi sempre nuovi, sempre imprendibili. Direttamente tra i morti è ambientato “All’uscita”, che Pirandello chiamò “mistero profano”, ideando un dialogo a tre voci che dovrebbe svolgersi appena fuori da un cimitero. Qui l’albero-manifesto di Samuel Beckett funge anche da sfondo per l’atto unico pirandelliano e concorre a rendere desolata la situazione di tre neo defunti che si raccontano. Più desolata appare in realtà la prima parte dello spettacolo, ove il pubblico pure ride spesso poiché l’ottimo Edoardo Demontis la fa un po’ da giocoliere. Bravi Paolo Meloni, Luigi Tontoranelli e Isella Orchis nella seconda parte.