Nozze di sangue
Nozze di sangue
di Federico Garcia Lorca
Traduzione: Marcello Fois
Drammaturgia: Marcello Fois e Serena Sinigaglia
Con: Fulvio Accogli, Maria Grazia Bodio, Lia Careddu, Daniel Dwerryhouse, Astrid Meloni, Isella Orchis, Luigi Pusceddu, Cesare Saliu
Regia: Serena Sinigaglia
assistente alla regia: Omar Nedjari
Musiche originali: Gavino Murgia
Scene Maria Spazzi
Costumi Federica Ponissi
Luci Loїc François Hamelin
Datore Luci Lisa Guerini
Sarta Adriana Geraldo
Fonico: Giorgia Mascia
assistente di produzione: Elisa Murgia
Macchinisti scenotecnici: Lisa Guerini, Yann Arthus Hamelin, Sohfolo Kone
produzione Sardegna Teatro
"Marcello Fois ha tradotto NOZZE DI SANGUE nella lingua della sua terra – la Barbagia – dove certe ritualità, certi codici di comportamento hanno affinità, non solo linguistiche, ma anche sociali ed antropologiche con l'Andalusia del primo '900."
"Nozze di Sangue è una tragedia corale, in cui emozioni, sentimenti, passioni e una fatale necessità, sono protagonisti assoluti, in cui il dramma è nell’aria fin dalle prime battute."
Federico Garcìa Lorca è uno dei massimi protagonisti della storia e della letteratura del Novecento. La sua vita e la sua opera sono segnati dal rapporto con le avanguardie degli anni venti e trenta (Luis Buñuel, Salvador Dalì), ma anche da esperienze personali accettate dolorosamente, come l’omosessualità, per la quale, oltre che la sua fede repubblicana, verrà fucilato nel 1936 dai falangisti seguaci di Francisco Franco. La sua poesia e il suo teatro però, che scava così profondamente nell’anima di una Spagna arcaica e oscura, hanno resistito alla dittatura diffondendosi in tutto il mondo.
NOTE DI REGIA
"A me interessa più la gente che abita un paesaggio che il paesaggio stesso. Posso starmene a contemplare una montagna per un quarto d'ora; ma poi subito dopo corro a parlare col pastore o col tagliaboschi di quella montagna. Nello scrivere, uno ricorda questi dialoghi e sorge l'espressione popolare autentica. Io ho un grande archivio nei ricordi della mia infanzia fatto delle parole della gente. E' la memoria poetica, e questa rispetto. Per il resto, i credi, le scuole estetiche, non mi preoccupano. Non ho nessun interesse nell'essere antico o moderno, ma nell'essere io, naturale. Nella nostra epoca il poeta deve aprirsi le vene per gli altri. Per questo io mi sono dato al teatro drammatico, che ci permette un contatto più diretto con le masse."
Federico Garcia Lorca
La scrittura di Lorca mi ha catturata fin dalla prima lettura. E' intensa, misteriosa, è pulsante di vita e di bellezza. Come restituire quella straordinaria energia che scorre tra le righe del poeta? Questa è sempre la questione centrale quando devi passare dalla parola scritta a quella parlata, quando dei fogli di carta inerti devono trasformarsi in spazio, corpi, suoni, colori e soprattutto parole pronunciate. E' un passaggio incerto e complesso, come una vera e propria rianimazione: massaggio cardiaco, defibrillatore, tempi di recupero e poi tutti in silenzio ad ascoltare se il cuore ha ripreso a battere. Un testo scritto contiene la vita in potenza, un allestimento teatrale è la trasformazione di quel potenziale in un fatto. Ogni volta che leggevo Nozze di sangue, percepivo che, nonostante la bravura del traduttore, l'italiano non era la lingua viva di cui aveva bisogno il testo. Era come se si usasse un defibrillatore rotto o troppo poco avanzato per l'operazione delicata che si andava a fare. Quale lingua per Lorca? La sua, certo, e oltre alla sua? Esistevano possibilità altre senza decretare la morte dell'operazione già sul nascere? Serviva una lingua che non fosse frutto di un compromesso intellettuale e borghese come l'italiano, lingua convenzionale e trasversale buona per ogni occasione ma distante dalla lingua reale che la gente realmente parla e ha parlato. Serviva una lingua di terra e di sangue, intrisa dei luoghi e delle persone che la parlano. Una lingua che è già storia di faide, di confini difesi e violati, di campi arsi, di coltelli, di parole impronunciabili, di silenzi violenti. Una lingua antica, che scorre nei geni di chi l'ha parlata o meglio vissuta. La Barbagia, che è l'entroterra del nuorese, presenta tutte queste caratteristiche linguistiche e antropologiche. Sia perché la Sardegna è stata dominata per quattro secoli dagli spagnoli, sia perché è un'isola che ha conservato una sua orgogliosa distanza dalla terraferma, in un isolamento culturale e sociale, che è consapevolezza identitaria e al contempo cocciuta resistenza al cambiamento, all'innovazione. Bodas de sambene è dunque una spericolata sperimentazione linguistica che sposta la vicenda lorchiana in mezzo alla dura campagna barbaricina, dove avvenivano gli stessi fatti di sangue descritti da Lorca. Una società chiusa dove valeva la legge mai scritta del taglione, dove qualsivoglia anelito di libertà veniva punito dalla comunità con la morte o forse ancora peggio con l'isolamento assoluto, dove bigottismo e superstizione si amalgamavano in una mistura terribile e bellissima insieme di natura e spirito. La Barbagia dei primi anni del ‘900 come defibrillatore per il mondo lorchiano di Nozze: parole, storie, volti, colori, che posso sperare di rianimare oggi, perché già vivi un tempo e presenti ancora (ed è stupefacente quanto!) nella storia di tante persone che vissero e vivono in quei luoghi, luoghi che sono certamente molto più vicini a noi italiani dell'Andalusia spagnola degli anni ‘30. Non si può rianimare ciò che non ha mai vissuto, si può rianimare solo tutto ciò che ha vissuto, non importa quando, non importa dove purché sia esistito, purché abbia pulsato di vita. E più quella vita ti ha riguardato e ti riguarda, più l'operazione promette di riuscire con successo. Solo allora, solo a rianimazione avvenuta, potremo realmente godere della forza libertaria che accompagna il gesto della sposa, della passione che travolge Leonardo e distrugge i vincoli coercitivi di una cultura chiusa e vendicativa che rifiuta ogni diversità, della forza spaventosa che arma le parole della madre e i gesti dello sposo, della maldicenza beghina che come benzina sul fuoco spinge al sangue e al dolore senza ritorno. Solo allora le parole di Lorca riemergono nella loro forza primordiale, a ricordare le eterne contraddizioni dell'uomo, che sa amare e odiare come la natura che l'ha generato e che da queste contraddizioni ne emerge con un grido soffocato di cui non potrà mai conoscerne il fondo.
Serena Sinigaglia